Da Klaus di Amalfi
Sposati in età oltre i 30 anni , abbiamo avuto in sequenza 4 figli a distanza di 39 mesi.
Siamo passati da 2 figli a 4 senza passare per il 3° peché gli ultimi 2 sono gemelli eterozigoti.
Oggi è il 28° compleanno dei gemelli .
Diversi fisicamente , uno , Mario , ingegnere informatico a Madrid preferisce la vita in comitiva , dopo il lavoro , con divertimenti e svago meritato.
L’altro , Carmine il rosso , ingegnere meccanico a Torino , più riflessivo , più casalingo, attento ai dettagli , con occhio fotografico dedicato , memorizza abbastanza i particolari, campione di Puzzle già a 2 anni .
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Auguri a Mario e Carmine
*28 volte evviva!
(da un papá contento e un po’ poetico)
Sposati tardi, ma pieni d’amore,
abbiam seminato con ritmo e fervore .
Uno, poi due… ma il salto più bello
fu quando arrivaste voi due, gemello e gemello!
Diversi ma uniti, due cuori vicini,
tra culle, pannolini e giochi mattutini…
Mario il brillante che vive a Madrid,
tra amici, risate e un’ora di chill.
Carmine invece, riflesso e preciso,
con l’occhio da falco e il cuore deciso.
Un tempo coi puzzle, oggi coi motori,
ma sempre in silenzio a contarne i colori.
Ventotto candeline, due sogni diversi,
due strade tracciate, ma mai troppo perse.
Uno che vola, l’altro che osserva…
due gemme di vita, ognuno conserva.
Vi mando un abbraccio, due baci leggeri,
come ali di vento sui vostri sentieri.
Che il mondo vi accolga, che il tempo vi arrida…
evviva i gemelli, la gioia, la vita!
Buon compleanno, ragazzi! Con tutto l’amore del mondo
Il vostro papà
Klaus di Amalfi
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P.s.
L’espressione “un’ora di chill” presa dall’inglese informale per riferire un’ora di relax, svago, tranquillità.
La Battigia
(Acqua salata , schiuma d’onda , sabbia , conchiglie ……)
La battigia è una soglia .
Né mare né terra , né città né selva .
È un confine di libertà . Mobile , fragile , poetico , dove tutto si mescola .
Sabbia e sale , onde e pensieri , conchiglie smozzicate e vetri levigati , che qualcuno ha buttato e il mare ha restituito con pazienza , trasformandoli in pietre preziose per poveri di spirito.
Chi ci si avvicina , alla battigia , non cerca il possesso , ma il contatto .
È il luogo dell’incontro .
Tra bambini che costruiscono fortezze che crolleranno alla prima marea , tra vecchi che ascoltano il rumore delle onde come se fosse un testamento acustico , tra coppie in disaccordo che finalmente tacciono , distratte dalla vastità .
È anche il nostro condizionatore naturale , in un tempo in cui l’aria condizionata indoor non basta più a refrigerare l’anima .
Quando il caldo sale , e le città si fanno forno , la battigia resta l’unico luogo dove si respira ancora una verità non climatizzata .
E allora , mettiamoci un po’ di sale .
Di quello buono , marino , che pizzica sulla pelle e pulisce le idee .
Il sale del rispetto , della sobrietà , della convivenza . Perché oggi , difendere la battigia , questo metro e mezzo di umanità bagnata , è un atto di civiltà .
É un gesto simbolico , una presa di posizione contro la privatizzazione del cielo e dell’orizzonte .
Per legge , ci spettano cinque metri . Cinque .
Non cinquanta , ma nemmeno zero .
E se la spiaggia è troppo stretta , si scende a tre .
Una mini-battigia .
Un bonsai di libertà , purché ci sia almeno quel filo di spazio per camminare , per stendersi , per sentirsi vivi . Non è questione di codici o di ordinanze , ma di decenza .
Di equilibrio tra la voglia di profitto e il diritto di bagnarsi i piedi .
C’è chi vorrebbe recintare anche la schiuma . Installare tornelli nella sabbia , emettere ticket per ogni passo umido .
Ma la battigia , benedetta lei , si muove .
Non la puoi fissare , non la puoi inchiodare .
Ogni onda la ridisegna .
È anarchica per vocazione , disobbediente per struttura .
Difenderla non è un esercizio di nostalgia .
É necessario .
Perché lì , dove l’acqua accarezza la terra e tutto sembra possibile , siamo ancora uguali .
In costume , goffi e umani , senza gradi , senza ruoli . Siamo carne e respiro . Siamo , finalmente , cittadini balneari .
Klaus di Amalfi
“Rampa per disabili”
nasce in Italia non come opposizione a qualche politico ma a quella sottile e strisciante forma di assuefazione cui non dovremmo mai rassegnarci .
É concepito come farebbe il buon padre di famiglia .
Chiaro, diretto, ma anche bruciante, come un ago riscaldato al lume di candela .
Potrebbe essere scritto e firmato da un simbolico cittadino con la schiena dritta .
Cosa dire invece se a scrivere fosse una persona che di fronte ad una barriera architettonica pur minima si arresta ?
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*Rampa per disabili*
(in legno, oppure Piattaforma elevatrice a movimento verticale?)
Che sia una rampa in legno ben fatta, una piattaforma elevatrice, o un semplice scivolo in pendenza dolce, poco importa.
Quel che conta è che ci sia.
Punto.
Perché una soglia invalicabile, per chi cammina solo con le ruote, non è solo un ostacolo fisico: è una ferita civile.
È un muro al diritto. È un “tu non entri”.
È una voce che dice: “Tu non sei previsto”.
E non ci sono scuse, né bilanci da piangere, né vincoli burocratici da invocare come scudi.
La legge c’è. La detrazione c’è. Il tempo è stato dato.
A mancare è solo la volontà politica.
E quando manca quella, tutto il resto diventa carta straccia.
Ogni volta che un disabile resta fuori da un ufficio, da una scuola, da una biblioteca, da un bar del centro o da una spiaggia comunale, si alza una domanda come una scure sul capo degli amministratori:
Che razza di città stai governando?
Dove sei, politico che ti dici “di sinistra”?
Tu che parli di uguaglianza, di diritti, di inclusione nei convegni e nei post social, dove sei quando una carrozzina non può salire un gradino?
Dov’è la tua “giustizia sociale”, se il primo a restare fuori è il più fragile?
Ti emozioni davanti alla Costituzione il 25 aprile, ma te ne dimentichi il 26, davanti all’ingresso del municipio.
Fateci caso: nelle nostre città, i disabili li si vede poco.
Non perché non ci siano.
Ma perché non possono passare.
Eppure, il principio è semplice:
prima il figlio debole, poi gli altri.
Così fa un buon padre. Così dovrebbe fare una buona amministrazione.
Il resto è vergogna.
Sottile, appiccicosa, dura a staccarsi.
Come il sudore della coscienza sporca.
Non si chiede di costruire astronavi.
Si chiede una rampa. Una piattaforma. Un gesto.
Che poi, a ben vedere, non è un gesto per il disabile.
È un gesto per noi.
Per poterci guardare allo specchio, e dire:
“Qui nessuno resta indietro”.
O almeno, non per colpa nostra.
Klaus di Amalfi