
Fino ad alcuni decenni addietro in costa amalfitana, oltre al Caruso ed Episcopio, si consumava (sia per uso privato o per commercio) vino, per lo più rosso, prodotto molto artigianalmente. Arrivava del vino gustoso in bottiglia da Sorrento o da qualche altro fornitore campano, ma buona parte della uva tramontina, per esempio, veniva caricata su APE e portata verso l’agro o hinterland napoletano dove operavano cantine che smerciavano un pò dovunque.
Poi arrivò l’azienda avellinese Mastroberardino che, in botti di diverse capacità, offrivano vino semipastorizzato cui davano nomi ai tanti sconosciuti (fiano, taurasi, aglianico, ecc.)
Nei primi tempi, però, gli avellinesi trovarono un pò di diffidenza (come avvenne anche per il cesanese del Piglio della Ciociaria di cui a Minori esisteva un fornito deposito) perchè i “bevitori” erano abituati ad un gusto e colore diverso. Le mescite di vino e le osterie si rifornivano prevalentemente dai contadini (Torello di Ravello, Tramonti) che riempivan i i capienti barili (di doghe di legno) che venivano trasportati da formichini e formichelle a valle. Naturalmente gli osti lo “innaffiavano” con acqua fresca e pulita per rendere il corposo rosso più sopportabile e gustoso per i palati più fini.Alcuni contadini, per rendere il rosso più cupo, lasciavano nei tini un basco nero (si sperava pulito) per soddisfare diversi palati (così mi raccontava mio padre ( ‘o Capurale) oste e ristoratore, pioniere della cucina della costa amalfitana, molto apprezzata dagli albergatori positanesi)
Mastroberadino piano piano prese piede e grossi camion scaricavano grandi botti. Il bisogno di vino fra Positano, Amalfi, Minori , si faceva sentire perchè l’uva iniziava a scarseggiare avendo diversi contadini optato per la trasformazione dei terrazzamento a viti in quelli a limoni, molto più redditizi.
Fonte : PositanoNews.it