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La più nota “presentazione al tempio” in Penisola Sorrentina è custodita presso la Chiesa dei…

La più nota “presentazione al tempio” in Penisola Sorrentina è custodita presso la Chiesa dei Servi di Maria, meglio nota come la Congregaziungella, ove essa rientra nel ciclo di dipinti del pittore sorrentino Carlo Amalfi dedicato alla vita della Madonna, lavoro eseguito non solo come artista ,ma anche come confratello negli anni 60-70 del 1700.

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NELLA CHIESA DI POSITANO

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NELLA CHIESA DI MORTORA

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Di seguito sono raccolte alcune voci tratte da Wikipedia, ma che ci aiutano bene a comprendere l’importanza di questa celebrazione, la sua posizione nel calendario solare e i retaggi antropoculturali che ha comportato e comporta. Sono sicuro che ricordate episodi di allontanamento della donne dalla vendemmia, o dal confezionamento della conserva di pomodoro, da questa lettura si evincerà il come e il perché.
Il 2 febbraio la Chiesa cattolica celebra la presentazione al Tempio di Gesù Lc 2,22-39, popolarmente chiamata festa della Candelora, perché in questo giorno si benedicono le candele, simbolo di Cristo “luce per illuminare le genti”, come il bambino Gesù venne chiamato dal vecchio Simeone al momento della presentazione al Tempio di Gerusalemme, che era prescritta dalla Legge giudaica per i primogeniti maschi.
La festa è anche detta della Purificazione di Maria, perché, secondo l’usanza ebraica, una donna era considerata impura per un periodo di 40 giorni dopo il parto di un maschio e doveva andare al Tempio per purificarsi: il 2 febbraio cade appunto 40 giorni dopo il 25 dicembre, giorno della nascita di Gesù.
Anticamente questa festa veniva celebrata il 14 febbraio (40 giorni dopo l’Epifania), e la prima testimonianza al riguardo ci è data da Egeria nel suo Itinerarium Egeriae (cap. 26). La denominazione di “Candelora” data popolarmente alla festa deriva dalla somiglianza del rito del Lucernare, di cui parla Egeria: “Si accendono tutte le lampade e i ceri, facendo così una luce grandissima” (Itinerarium 24, 4), con le antiche fiaccolate rituali che si facevano nei Lupercali (antichissima festività romana che si celebrava proprio a metà febbraio). Ma la somiglianza più significativa tra le due festività si ha nell’idea della purificazione: nell’una relativa all’usanza ebraica:
« Quando una donna sarà rimasta incinta e darà alla luce un maschio, sarà immonda per sette giorni; sarà immonda come nel tempo delle sue regole. L’ottavo giorno si circonciderà il bambino. Poi essa resterà ancora trentatré giorni a purificarsi dal suo sangue; non toccherà alcuna cosa santa e non entrerà nel santuario, finché non siano compiuti i giorni della sua purificazione » (Levitico 12,2-4)

nell’altra riguardo alla februatio (cfr. Ovidio, I Fasti 2, 19-24, 31-32ss [Gli antenati romani dissero Februe le espiazioni: e ancora molti indizi confermano tal senso della parola. I pontefici chiedono al re e al flamine le lane che nella lingua degli antichi erano dette februe. Gli ingredienti purificatori, il farro tostato e i granelli di sale, che il littore prende nelle case prestabilite, si dicono anch’essi februe. (…) Da ciò il nome del mese, perché i Luperci con strisce di cuoio percorrono tutta la città, e ciò considerano rito di purificazione…]). Durante il suo episcopato (tra il 492 e il 496 d.C.), Papa Gelasio I ottenne dal Senato l’abolizione dei Lupercali ai quali fu sostituita nella devozione popolare la festa appunto della Candelora. Nel VI secolo la ricorrenza fu anticipata da Giustiniano al 2 febbraio, data in cui si festeggia ancora oggi.

Candelora prima della Chiesa
La Candelora è celebrata anche nella tradizione pagana e neopagana, ed alcuni studiosi rilevano come si tratti di una festività introdotta appunto in sostituzione di una preesistente. Chiamata Imbolc nella tradizione celtica, segnava il passaggio tra l’inverno e la primavera ovvero tra il momento di massimo buio e freddo e quello di risveglio della luce.[1][2]
Nel mondo romano la Dea Februa (Giunone) veniva celebrata alle calende di febbraio (nel calendario romano i mesi seguivano il ciclo della luna. Il primo giorno di ogni mese corrispondeva al novilunio (luna nuova) ed era chiamato “calende”, da cui deriva il nome “calendario”).[3]
Nel neopaganesimo Imbolc è uno degli otto sabba principali ed è legato alla purificazione ed ai riti propiziatori per la fertilità della terra.
Per la santa Candelora se nevica o se plora dell’inverno siamo fora, è un antico proverbio popolare, riferito al rituale della Candelora, introdotto dal patriarca di Roma Gelasio intorno all’anno 474 d.C., in sostituzione della cerimonia pagana dei Lupercali, dalla quale ha assunto qualche ispirazione procedurale.
Il rito della Candelora
« Per la santa Candelora
se nevica o se plora
dell’inverno siamo fora;
ma se l’è sole o solicello
siamo sempre a mezzo inverno »

La parola Candelora deriva dal latino festum candelarum e va messa in relazione con l’usanza di benedire le candele, prima di accenderle e portarle nella processione.
I ceri vengono conservati nelle abitazioni dei fedeli per essere riutilizzati, come accadeva in passato, per ingraziarsi le divinità pagane, durante calamità meteorologiche, oppure nell’assistenza di una persona gravemente malata, o nel caso di epidemie, o nell’attesa del ritorno di qualcuno momentaneamente assente, o infine, come accade attualmente, in segno di devozione cristiana.[1]
Anticamente, i seguaci dei riti magici, nel giorno della Candelora verificavano se una persona era colpita da malocchio seguendo queste modalità: immergevano tre capelli dell’interessato in una bacinella d’acqua seguiti da tre gocce di olio, precedentemente messo a contatto col dito dell’individuo. A questo punto, secondo i seguaci della magia, se le gocce restavano intere e collocate nel centro della baccinella, il soggetto non era stato affetto da malocchio, in tutti gli altri casi invece si.[2]
Candelora e il clima
La Candelora e la vernata
« Delle cere la giornata
ti dimostra la vernata,
se vedrai pioggia minuta
la vernata fia compiuta,
ma se vedi sole chiaro
marzo fia come gennaro. »

La giornata delle Cere è il 2 febbraio, la festa della Candelora e della “Purificazione”.
La Candelora e il vino
« Se per la Candelora il tempo è bello
molto più vino avremo che vinello. »

Il 2 febbraio è uno di quei giorni, dispiegati nel calendario, utili, in base alle credenze popolari, per trarre auspici per il futuro, per predire l’esito dei raccolti. In fondo, da un punto di vista tecnico-agricolo, è effettivamente importante che, in certe fasi dello sviluppo del grano e della vite, le condizioni meteorologiche siano favorevoli.
La Candelora, la pioggia e la neve
« Se nevica per la Candelora
sette volte la neve svola. »

« Se piôv par Zariôla
quaranta dè l’inveran in z’arnôva. »
(dialettale romagnolo)
(“Se piove per la Candelora si rinnovano quaranta giorni d’inverno”). In questo caso, il proverbio romagnolo vuole evidenziare come la giornata della Candelora si trovi a metà strada tra il Natale e la metà di marzo, quindi non è impossibile che altri quaranta giorni di cattivo tempo possano trascorrere prima degli attesi spiragli primaverili.
La Candelora, la pioggia ed il vento
« Da la Madona Candeòra
de l’inverno semo fora;
ma se xe piova e vento,
de l’inverno semo drento. »
(dialettale veneto)
(“Dalla festa della Madonna della Candelora siamo fuori dall’inverno; ma se nevica o c’è vento, siamo ancora in inverno.”)
« Col dì de’a Candeòra
de l’inverno semo fora;
ma se piove o tira vento,
de l’inverno semo ancora ‘rento. »
(dialettale veneto)
(“Col giorno della Candelora dall’inverno siamo fuori; ma se piove o c’è vento, siamo ancora dentro l’inverno.”)
La Candelora e le uova
« De la Candelora
ogni aceddu fa la cova »
(dialettale salentino)
(“Dalla Candelora ogni uccello fa le cova”). In questo caso il proverbio ci proietta verso Pasqua.
« Da Candalora, cu on avi carni
s’impigna a figghjiola »
(dialettale calabrese)
Questa è invece una versione calabrese riguardo alla Candelora.
La Candelora, l’orso e la terra
« Se l’ors a la Siriola la paia al fa soà
ant l’invern tornom a antrà »
(dialettale piemontese)
(“Se l’orso alla Candelora fa saltare la paglia (il giaciglio) si rientra nell’inverno”). In altre regioni, viene utilizzato il lupo o il leone come protagonista simbolico di questo proverbio che esplora le dinamiche interne della terra, che proprio nel momento di maggior gelido, ricominciano a risvegliare gli elementi assopiti, e quindi al di sotto di una superficie brulla corrisponde una vita intensa.[1]
Non è un caso se il termine febbraio derivi dal latino februus (“purificante”), associato al periodo annuale di purificazione e quindi di rinascita della natura e dello spirito.[1]
Questa invece è una versione napoletana riguardo alla Candelora.
A Cannelora Vierno è fora! Risponne San Biase: Vierno mo’ trase! dice a vecchia dint’ a tana: …nce vo’ ‘nata quarantana! cant’ o monaco dint’ o refettorio: tann’ è estate quann’ è Sant’Antonio!
(Alla Candelora l’inverno è finito! Risponde San Biase ” L’inverno ora inizia!” . Dice la vecchia dentro la tana ” Ne mancano ancora 40″. Canta il monaco dal refettorio ” L’estate arriva quando viene Sant’Antonio”)
Se p’a Cannelore ne chòve ‘u virne se ne more ( se nella Candelora non piove/ l’inverno muore ) Dialetto Pugliese Foggia G.Ruggiero

Fonte : PositanoNews.it

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