Costiera Amalfitana

Nel cuore della Costiera Amalfitana, dove la bellezza si accompagna alla fragilità del territorio e alla necessità di una gestione pubblica attenta, il tema dei rifiuti si è trasformato in una battaglia politica e legale. Con la votazione del 25 marzo scorso, dieci Comuni del SAD Costa d’Amalfi hanno approvato il nuovo piano industriale per la gestione del servizio di igiene urbana, con annessa relazione ex art. 14 del D.Lgs. 201/2022, tracciando una linea netta: avanti con la gestione in house, probabilmente con la società Miramare Service S.r.l.Ma non tutti sono saliti su quel carro.

I Comuni di Positano, Amalfi e Atrani, ognuno con motivazioni diverse ma convergenti nei contenuti, hanno sollevato obiezioni puntuali e pesanti, che vanno dal metodo al merito. Obiezioni che sono state ignorate o eluse in sede di approvazione, trasformando di fatto un voto tecnico di 10 comuni, in un atto politico che rischia di disgregare il fronte costiero più che unirlo.

Tra i Comuni che hanno detto no stavolta c’è anche Atrani, che non è un Comune esterno al progetto. Tutt’altro: Atrani fa già parte della Miramare Service, da anni.Il suo voto contrario, quindi, non è una scelta ideologica contro la gestione in house, ma una bocciatura netta del metodo adottato e attraverso un intervento dettagliato del Sindaco in assemblea, ha evidenziato sette punti critici del piano, tutti documentati e trasmessi per tempo:

Disallineamento logistico sulle sedi operative e sull’uso delle isole ecologiche intercomunali;
Errori sull’elenco delle spiagge e strade servite;
Ignorate le nuove assunzioni della Miramare Service che impattano sui costi;
Dubbi sulla legittimità della suddivisione dei costi in base alla sola popolazione residente.
la mancanza di un accordo formale tra Comuni per l’uso delle infrastrutture intercomunali ovvero le isole ecologiche da far diventare tutte intercomunali.Un punto, quest’ultimo, strategico.Il Piano industriale si regge sulla condivisione delle isole ecologiche e dei centri operativi tra più Comuni. Ma non esiste un accordo sottoscritto ex art. 15 della Legge 241/90, che ne disciplini in modo chiaro e vincolante le regole d’uso.Per Atrani, questo è inaccettabile. Non è solo un principio giuridico: è la memoria di una ferita.

Già in passato Atrani e Minori furono esclusi unilateralmente dall’uso dell’isola ecologica di Maiori. Quella vicenda nacque proprio all’interno di Miramare.Oggi Atrani non accetta più “gentlemen’s agreement”: vuole un patto scritto, ferreo, blindato.Il Piano industriale si fonda proprio sulla condivisione delle infrastrutture, ma senza un accordo vincolante tra i Comuni, tutto resta sulla carta.

Infatti, nulla è stato recepito, anzi come scrive il primo cittadino nel documento allegato alla delibera, “il voto non era sui singoli piani dei Comuni, ma su un piano generale, che dovrebbe tener conto di tutti”. E in assenza di ascolto, quel voto si trasforma — nei fatti — in un voto contro quei Comuni “dissenzienti”.

Ancora più netto il fronte di Positano, che ha presentato una diffida formale alla “vigilia” dell’udienza al TAR e ha portato il caso in Tribunale Amministrativo alcuni mesi fa. L’udienza, inizialmente prevista per aprile, è stata rinviata addirittura al 24 settembre 2025, mantenendo la tensione alta.

La tesi è chiara: la gestione in house, nei numeri, costa il doppio dell’attuale servizio in esternalizzazione. “Oltre due milioni contro uno”, documentano. E poi: nessuna indagine di mercato, nessun confronto con gli standard di Consip, nessuna valutazione neutrale.

Il principio è delicato: se la relazione ex art. 14 viene costruita a misura di una scelta politica già fatta, allora si rischia una distorsione del mercato, che potrebbe presto attirare l’attenzione anche di ANAC e AGCM.

C’è un passaggio che più di ogni altro rivela la frattura tra la forma e la sostanza. La convenzione sottoscritta da tutti e 13 i Comuni del SAD recita che lo scopo dell’unione è:“valorizzare le diversità territoriali; garantire una maggiore efficienza gestionale e una migliore qualità del servizio all’utenza; ottimizzare i segmenti funzionali del ciclo integrato”.Eppure, oggi, quella diversità sembra un ostacolo, non una risorsa. Chi ha chiesto personalizzazioni (come Atrani) o ha espresso dubbi (come Amalfi e Positano) si è visto rispondere con un voto di maggioranza. Legittimo, sì. Ma aggregante? No.

Il rischio è che si trasformi in un precedente pericoloso, dove si vota non per trovare la soluzione migliore per tutti, ma quella più forte politicamente.

Chi presiede un organismo distrettuale ha un compito: aggregare, non dividere. E invece, in questa fase delicatissima, il Presidente del SAD, già “contestato” da Positano e Amalfi, ha perso anche Atrani. Una sconfitta non numerica, ma politica e simbolica. E forse strategica.

Il rischio concreto è che si possa ripetere gli errori del passato, come nel caso del Consorzio Bacino SA/2, diventato un “carrozzone” dove, alla fine, a pagare furono proprio i lavoratori, che persero migliaia di euro di trattamento di fine rapporto, stipendi e contributi.

La forma di gestione in house può essere legittima e perfino auspicabile. Ma deve emergere da un’analisi reale, oggettiva, aperta al confronto. Se invece viene imposta a prescindere, diventa una forzatura, con possibili effetti giuridici, finanziari e di governance molto gravi. La relazione ex art. 14 deve essere uno strumento di verità, non un atto notarile a supporto di decisioni già prese.Perché, quando si antepone la forma politica alla sostanza tecnica, e si forza un sistema a somigliare ai desideri di pochi, il risultato non è una gestione efficiente. È un boomerang istituzionale, che può tornare indietro con forza.O peggio: con costi.

Non si tratta solo di rifiuti. Si tratta di visione istituzionale, rispetto, metodo democratico.E quando questi principi vengono messi da parte, il rischio è che anche le migliori intenzioni — come un servizio pubblico efficiente — si trasformino in uno strumento di conflitto, invece che di coesione.

E ora? La parola passa al TAR. Ma il futuro del SAD Costa d’Amalfi, in realtà, è tutto nelle mani dei suoi Comuni. Se sapranno tornare a parlarsi davvero.