Costiera Amalfitana

Stasera, alle ore 20, sul belvedere di Villa Rufolo si accenderanno i riflettori sulla LXXIII edizione del Ravello Festival, con Le Cercle de l’Harmonie che, tra le dita del suo stesso fondatore, proporrà al pubblico,  il Preludio del Parsifal e l’ Ouverture del Tannhäuser, nel segno di Wagner e la Symphonie fantastique op. 14 di Hector Berlioz. Alle ore 18, presso gli spazi dell’hotel Rufolo, Alberto Mattioli, “loggionista impenitente”, discernerà da par suo sul programma

 Di Olga Chieffi

La musica, come forma del divenire, non è tanto ciò che è stato, quanto ciò che potrebbe essere: linee di fuga, solco della vita, mondo a venire. Suono inopportuno, disseminazione di un’interruzione, la musica crea intermezzi in un mondo che cerca continuità ininterrotte. E’ con questo animo, che questa sera assisteremo al concerto inaugurale del LXXIII cartellone del Festival di Ravello, firmato da Lucio Gregoretti e realizzato dalla fondazione presieduta da Alessio Vlad e diretta da Maurizio Pietrantonio. Ritornano in loco gli osannati critici musicali a discernere sul programma dei concerti, a cominciare nel pomeriggio, alle ore 18, presso gli spazi dell’hotel Rufolo, quando a salire in cattedra sarà Alberto Mattioli, “loggionista impenitente”, che dovrà erudire la platea intorno all’omaggio wagneriano, composto dal Preludio del Parsifal e l’Ouverture del Tannhäuser, e la Symphonie fantastique op. 14 di Hector Berlioz. Quindi, intorno alle 20 ci si sposterà sul belvedere di Villa Rufolo per assistere al tramonto, senza dimenticare le sinestesie in cui ci calerà il luogo e ascoltare il Preludio del Parsifal da Le Cercle de l’Harmonie, orchestra francese che sarà diretta dal suo stesso fondatore Jèremie Rhorer. Nessuna pagina come questa coinvolge e prepara “spiritualmente” a quanto accadrà di seguito in scena. Il lungo tema, in lente sincopi, che apre la partitura (motivo “della cena” o “dell’agàpe”), contiene a sua volta tre elementi melodici, la chiave tematica dell’intero dramma:  i motivi dell’amore, della ferita e della lancia, legati l’uno all’altro senza soluzione di continuità. Altri due leitmotiv completano la presentazione tematica: dapprima il solenne corale del Graal, che è l’Amen di Dresda di Lutero, già utilizzato da Mendelssohn nella Sinfonia La Riforma, e successivamente il motivo della fede, sul quale si sviluppa tutta la parte centrale dell’introduzione sinfonica. Siamo preparati a riflettere sulla figura di Amfortas, il peccatore custode della santa reliquia che, torturato dal pentimento, trema dinanzi al divino castigo, che la vista del Graal risplendente porta con sé: potrà trovar redenzione l’angoscia che gli divora l’animo? Ancora una volta udiamo la promessa e speriamo, tutti, con lui.  Si passerà, quindi, all’ouverture del Tannhäuser di Richard Wagner, che non si limita a introdurre nel clima drammatico e musicale dell’opera, ma ne descrive i conflitti fondamentali, quali si manifesteranno, poi, nella vicenda e, soprattutto, nell’animo del protagonista, combattuto fra le tentazioni dei piaceri carnali, rappresentati da Venere, e il puro amore spirituale, idealizzato nel personaggio di Elisabetta. La seconda parte della serata verrà interamente dedicata all’esecuzione della Symphonie fantastique, episodi della vita di un artista in cinque parti per orchestra, op. 14 di Hector Berlioz. Il compositore stesso, la descriveva come “un’immensa composizione strumentale d’un genere nuovo, con cui cercherò d’impressionare fortemente gli ascoltatori”, affermando che ne aveva chiaramente in testa lo schema da molto tempo, pur avendo bisogno di “molta pazienza per collegarne le parti e dare ordine al tutto”. Molti anni dopo, nelle sue Memorie, scriveva: “Immediatamente dopo le otto Scènes de Faust, e sempre sotto l’influsso di Goethe, scrissi la Symphonie fantastique, con molta fatica per alcune parti e con una facilità incredibile per alcune altre. Così l’Adagio (Scène aux champs), che ha sempre impressionato così vivamente il pubblico e me stesso, mi affaticò per più di tre settimane: l’abbandonai e la ripresi due o tre volte. La Marche au supplice, al contrario, fu scritta in una notte”. Nel primo tempo – intitolato “Sogni, passioni” e costituito da un Largo introduttivo e da un Allegro agitato e appassionato assai – il giovane ricorda la situazione del suo animo prima e dopo aver conosciuto la donna amata, con le sue melanconie e poi con le angosce deliranti e i furori di gelosia. Il secondo tempo è “Un ballo” (valzer): il protagonista incontra l’amata durante una festa brillante, la terza parte è una “Scena campestre” (Adagio: una dolce atmosfera pastorale acquieta l’ animo esacerbato del giovane, interrotta solo per un momento dall’apparizione dell’amata, che ridesta nel suo cuore le apprensioni più disperate.  Ed ecco la “Marcia al supplizio” (Allegretto non troppo): il giovane sogna di aver ucciso l’amata, di essere condannato a morte e condotto al supplizio. Il brano descrive il corteo lugubre e solenne, e alla fine ricompare per un momento l’amata, in una breve visione. L’ultimo tempo s’intitola “Sogno di una notte del Sabba” (Larghetto-Allegro). L’amante si trova in mezzo a una folla d’ombre e di stregoni; l’ “idée fixe” ricompare, in veste ormai di una danza triviale e grottesca simboleggiato dal clarinetto piccolo in Mi bemolle: è l’amata che viene al Sabba, mescolandosi all’orgia. Le campane rintoccano a morto parodiando il Dies Irae e il Sabba si conclude con una ridda infernale. Possiamo dire che la musica di Berlioz sta alla musica romantica, come la recitazione sta al vero, come un atteggiato processionale all’andare ordinario, come l’azione rituale all’azione pura e semplice. Il suo senso ultimo è un iperbole, un gesto. Berlioz eleva il fatto timbrico a parametro costruttivo della composizione stessa. Il trattamento dell’orchestra è stupefacente per genialità e novità di intuizioni, accogliendo colori come quelli del clarinetto piccolo, del corno inglese, delle campane, di due tube e quattro timpani, chiari prestiti dalla buca dell’opera, ricca di colori e di “effetti speciali”, che generano spesso una sensazione quasi di tridimensionalità del suono, in una concezione spaziale che per decenni fu quasi soltanto sua, e che fa da scena al racconto proposto da gesti musicali come le metamorfosi dell’idée fixe e degli altri motivi o le onomatopee sonore, da una scrittura ritmica aguzza e plastica.